BERCETO – 9 AGOSTO 2018
Per il secondo anno ho accolto l’idea di presentare la mostra di quadri di mio padre, non per parlarne sotto un profilo di critica d’arte che non è il mio campo, ma piuttosto per dare il benvenuto ai visitatori che sono qui oggi e per fare gli onori di casa, in un certo senso. Così, oltre ad invitarvi a gustare qualche prelibatezza che è pronta sul tavolo del rinfresco, sono qui per invitarvi a gustare, nel modo migliore possibile, i quadri di Arnaldo Dini.
Per fare questo vorrei offrirvi delle chiavi di lettura partendo dal titolo della mostra: Punti di Luce.
Chi conosce già la pittura di Dini (e chi non l’ha mai vista potrà ritrovare alcuni quadri significativi di ogni periodo nei cataloghi che documentano il suo percorso) sa che il suo tratto grafico caratteristico, con cui rappresenta le figure, i paesaggi, le immagini, è un filo fatto di punti.
Questo filo non è sempre stato così. E’ nato come un tondino pieno che si è liberato dalla pietra. All’inizio ricordava un po’ il cemento armato ma il processo, in realtà, è opposto: il suo filo, poco alla volta, si è “disarmato” dalla pietra. Con il passare del tempo, poi, questo filamento si è assottigliato, ammorbidito, colorato e tratteggiato fino a formare una tessitura fatta di punti, di trattini colorati.
Li abbiamo chiamati “punti di luce”. Perché?
Prima di tutto perché sono punti di colore e il colore è parte della luce, della radiazione solare.
Ma in particolare perché questi punti e queste trame che formano ogni tipo di immagine che Dini rappresenta, rimandano a quelle particelle piccolissime di cui è costituita la materia.
(Ora, non voglio dare per scontato che tutti sappiate cosa sono gli atomi, faccio finta di parlare con mia madre che ha una formazione umanistica e quando parlo di queste cose mi guarda un po’ perplessa e un po’ incuriosita).
Ciò che costituisce tutte le cose, tutte le sostanze, è fatto da particelle microscopiche chiamate atomi (gli atomi di ossigeno, di carbonio, e così via). Ma i fisici moderni hanno scoperto che queste particelle sono in realtà costituite da diverse particelle ancora più piccole e tra queste vi sono quelle chiamate “gluoni”, ovvero l’energia stessa che unisce gli atomi. Ciò che noi vediamo nel mondo che ci circonda è in realtà la manifestazione macroscopica di questa interazione tra particelle di energia. Questa visione della fisica moderna assomiglia molto a quello che Arnaldo, senza
saperlo, dipinge col suo pennello. Anche nei suoi quadri queste piccole particelle di colore individuano la superficie delle figure e ne compenetrano il volume, al di là della prospettiva e del rispetto delle leggi della concretezza. I punti formano le figure ma anche le attraversano. Ne individuano la forma ma anche la disperdono. Ne delimitano i colori ma anche vi si mescolano.
Gli Antenati Nativi Americani (ma anche altre popolazioni indigene di varie parti del mondo) erano consapevoli di questa rete che unisce tutta la materia, l’energia, lo spazio e il tempo. La chiamavano la Tessitura del Sogno. Cito le parole di Jamie Sams (una scrittrice Nativa vivente), nel libro “Danzare il sogno”: “La Tessitura del Sogno è fatta sia di fiumi di coscienza divina e di forza vitale, sia di forze non fisiche create dagli uomini come: i sentimenti, i pensieri, l’ispirazione, le opinioni, i giudizi, l’immaginazione, i sogni, le aspirazioni, le intenzioni e la creatività pura”. Quindi anche i nostri sentimenti, pensieri, punti di vista contengono energia. “Quei pensieri hanno una forza vitale propria e influenzano direttamente il nostro modo di vivere”.
Nella pittura di Arnaldo Dini traspare, al di là dei soggetti rappresentati, l’atmosfera che circonda l’immagine, ed è sempre il filamento che la suggerisce, o nel suo essere essenziale, lineare e armonioso (come, ad esempio, nei quadri intitolati “La scelta”, “Con la leggerezza del clown” e “Il mio orgoglio” ), oppure nel suo creare frammentazione, scomposizione, complessità (come nei dipinti “Il compositore” e “Fortuna” e “Maternità”). In ogni quadro, assieme al personaggio o alla scena rappresentata, il filamento si muove, si piega, si interseca e con la sua forma sembra suggerire anche i legami che quella scena, quei personaggi hanno con la loro storia, con la fantasia dell’artista e perfino con chi li osserva.
I quadri esposti in questa mostra, che sono tra i più recenti, sono il frutto di un cammino che ha accompagnato Dini, sia artista che uomo, in una ricerca verso la luminosità. Come nella pittura la luminosità è, non solo l’espressività del colore e dell’interazione tra colore e forma, ma anche la ricerca del proprio stile, della propria visione, così nella vita la luminosità è l’apertura al di là delle proprie paure delle resistenze, verso uno spostamento del proprio punto di vista che dà spazio nuove e più ampie possibilità.
Inoltre vi è un fatto curioso: all’interno della mostra troverete anche un quadro del 1989 che è stato ispirato proprio da una storia mitologica intitolata “Lo sciamano che volò in cielo”.
Gli artisti, si sa, con la loro mente intuitiva, anticipano, molte volte, quello che il resto della società arriva poco alla volta a comprendere. Sono essi stessi “punti di luce” quando riescono a creare con la loro forma artistica (e mi riferisco a tutte le arti, non solo alla pittura) dei sentimenti di gioia e di benevolenza che hanno poi il potere di migliorare la vita collettiva.
Non possiamo che ringraziare tutti gli artisti che allietano la vita di questo paese (i pittori, gli scultori, i musicisti e i danzatori, per citarne solo alcuni) e tutti coloro che con la propria luminosità e la propria forma d’arte si impegnano per portare nella vita di ogni giorno benefici a tutte le nostre relazioni.
Raffaella Simonetti
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